Questa casa non è un albergo
Di solito si dice «questa casa non è un albergo» per dissuadere i figli adolescenti dal fare i propri comodi, come non rispettare gli orari, pretendere il servizio in camera o non collaborare alle faccende domestiche.
È giunto il momento di rivalutare i figli e chiudere un occhio quando non vogliono rifarsi il letto, perché ho letto che i capricci dei clienti degli hotel italiani sono molto peggio. C'è chi vuole soggiornare insieme al proprio pitone, chi pretende che la piscina venga spostata in una zona più soleggiata, manco fosse una bacinella, chi chiede di ammobiliare la propria camera al primo piano con i mobili del secondo piano perché gli piace di più il colore del legno. Per non parlare delle scuse per annullare all'ultimo momento la prenotazione – molto gettonata la nonna morta, che non va più di moda nemmeno per giustificare i compiti non fatti in seconda elementare – o del ricatto «se non mi fai lo sconto ti faccio una cattiva recensione».
Credo che molti di questi rompiballe siano genitori che hanno sempre in bocca la frase «questa casa non è un albergo», e così si sono fatti l'idea che l'albergo sia il luogo dove tutto è permesso e, se non glielo permettono, poi si vendicano in rete. Ci vorrebbe un portale a uso degli albergatori, in cui vengono recensiti i clienti incontentabili, zozzoni e trafugatori di asciugamani. Anche perché il termine «ospite» vale sia per chi accoglie che per chi viene accolto, dato che sono situazioni intercambiabili nella vita di ogni uomo, e siccome anche gli albergatori vanno in vacanza, sono certo che quando sono ospiti nelle strutture altrui il pitone lo lasciano a casa.